venerdì 20 giugno 2008

The Economist riprende a parlare di Berlusconi

In un articolo dal titolo «I frutti della carica», il settimanale britannico ironizza sulle azioni del premier italiano, che «due mesi dopo aver vinto le elezioni comincia a trattare con il sistema giudiziario, e con quelli che ci lavorano, come fece l'ultima volta che è stato al potere, dal 2001 al 2006......ulteriori attacchi alla magistratura e leggi fatte su misura per proteggere se stesso e i suoi interessi d'affari sembrano essere, ancora una volta, delle priorità».
L' Economist spiega l'emendamento, approvato al Senato e giudicato «incostituzionale» dagli oppositori, che sospende i processi per i reati meno gravi compiuti prima del giugno del 2002, compreso quello in cui Berlusconi è accusato di corruzione (il processo Mills).
Nell' articolo si dice anche che «le intrusioni di Berlusconi nel sistema della giustizia penale vanno anche a colpire le intercettazioni per scopi investigativi», mettendo un «bavaglio» a magistrati e giornalisti. Questa è una legge che abolisce di fatto la cronaca giudiziaria per tutta la lunga fase delle indagini, fino all’inizio del processo. Cioè da quando viene commesso un fatto, a quando viene scoperto, a quando viene processata la persona sospettata di averlo commesso, i cittadini non potranno più sapere nulla. Il fatto che non si possa più intercettare per reati puniti con pene inferiori ai dieci anni o quelli contro la pubblica amministrazione, significa che non potremo più scoprire con le intercettazioni reati di: usura, truffe, contrabbando, sfruttamento della prostituzione, furti, reati ambientali; nemmeno la ricerca dei latitanti potrà essere eseguita in modo profittevole, infatti quando si mettono sotto intercettazione tutti gli amici e i parenti e i possibili favoreggiatori di un latitante in attesa che qualcuno compia un passo falso, non si potrà più fare, perché c’è un’altra clausola che dice che l’intercettazione può durare al massimo tre mesi, dopodichè deve cessare.
Poi c'è il nuovo piano di mettere migliaia di soldati a pattugliare le città; secondo l'Economist, appare essere una «cortina di fumo» per il «reale approccio del governo nei confronti del crimine: duro per certi reati, morbido per altri».
Insomma, anche questa volta arrivano critiche dall' estero all' operato di Berlusconi.
Ma che bell'Italia!

martedì 10 giugno 2008

No al nucleare

L' 8 novembre 1987 si svolsero tre referendum sul nucleare: la maggioranza degli italiani che andò alle urne votò per il "Sì", abrogando una serie di norme e orientando le successive scelte dell' Italia, in ambito energetico, verso una direzione di sfavore nei confronti del nucleare.
Pertanto, con il referendum abrogativo del 1987 è stato "di fatto" sancito l'abbandono da parte dell' Italia del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico e di lì a poco le quattro centrali nucleari in Italia furono chiuse.
Resta ancora da effettuare il totale smantellamento, la rimozione e la decontaminazione (operazioni definite di "decommissioning") di strutture e componenti degli impianti nucleari in Italia.
Sia delle centrali nucleari ex-Enel: Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina, Garigliano (Caserta), sia degli impianti del ciclo del combustibile ex-Enea: EUREX di Saluggia (Vercelli), FN-Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria), OPEC in Casaccia (Roma), Plutonio in Casaccia (Roma), ITREC in Trisaia - Rotondella (Matera).
Nonostante siano passati tanti anni, i rifiuti radioattivi ancora oggi sono custoditi non in condizione di massima sicurezza in più località (generalmente nei pressi delle vecchie centrali nucleari) ed il problema della sistemazione definitiva di tutto il materiale radioattivo e degli alti costi relativi al loro smaltimento è ancora da risolvere. Il governo ha attualmente affidato questo compito alla Sogin.

In questi giorni, si dibatte su una questione di non lieve importanza: la reintroduzione del nucleare in Italia. Il governo italiano ha, infatti, confermato l'inizio della costruzione delle nuove centrali entro il 2013.

L' economista americano Jeremy Rifkin, esperto di questioni energetiche, ha detto la sua su questa vicenda, in un' intervista condotta dal giornalista RICCARDO STAGLIANÒ: "...quella atomica è una strada sbagliata, di retroguardia....".

"....inanzitutto perchè l'uranio, come il petrolio, presto imboccherà la sua parabola discendente: ce ne sarà di meno e costerà di più. Stando agli studi dell'agenzia internazionale per l'energia atomica l'uranio comincerà a scarseggiare dal 2025-2035. Come il petrolio, sta per raggiungere il suo peak (picco). I prezzi, quindi, andranno presto su. Ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia togliendo ulteriori argomenti a questo malpensato progetto. Si potrebbe puntare sul plutonio. Ma con quello è più facile costruire bombe...".

"...poi c'è il problema dello smaltimento delle scorie, drammaticamente aperto anche negli Stati Uniti dove lo studiano da anni. Infatti, gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili....".

Altro problema che l'economista americano evidenzia è che "Il nucleare è un'energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe. Come Chernobyl.
I sostenitori del nucleare dicono che il nucleare è pulito, non produce diossido di carbonio, quindi contribuirà a risolvere il cambiamento climatico. Un ragionamento che non torna se solo si guarda allo scenario globale. Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari e producono circa il 5% dell'energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui. Perché il passaggio al nucleare avesse un impatto sull'ambiente bisognerebbe costruire 3 centrali ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Così facendo fornirebbe il 20% di energia totale, la soglia critica che comincia a fare una differenza. C'è qualcuno sano di mente che pensa che si potrebbe procedere a questo ritmo? La Cina ha ordinato 44 nuove centrali nei prossimi 40 anni per raddoppiare la sua potenza produttiva. Ma si avvia ad essere il principale consumatore di energia...".

"...altro problema è che non c'è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell'acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L'estate di cinque anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l'acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l'erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata. Se questi sono i dati, che uso ne fa la politica? Posso sostenere un dibattito con qualsiasi statista sulla base di questi numeri e dimostrargli che sono giusti, inoppugnabili. Ma la politica a volte segue altre strade rispetto alla razionalità. E questo discorso, anche in Italia, è inquinato da considerazioni ideologiche. Infatti, direi che ci sono modelli energetici élitari e altri democratici. Il nucleare è centralizzato, dall'alto in basso, appartiene al XX secolo, all'epoca del carbone. Servono grossi investimenti iniziali e altrettanti di tipo geopolitico per difenderlo. Il modello democratico, invece, è quello che io chiamo la "terza rivoluzione industriale". Un sistema distribuito, dal basso verso l'alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso "reti intelligenti" come oggi produce e condivide l'informazione, tramite internet. Tale modello è applicabile anche in Italia, anzi voi siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili...".

"Per effettuare questa transizione bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario quello di arrivare al 20%: voi da dove avete cominciato? Oggi il settore delle costruzioni è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, domani potrebbe diventare parte della soluzione. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla".

Oltre che motivi etici, sembrano esserci anche motivi economici molto convincenti: "In Spagna, che sta procedendo molto rapidamente verso le rinnovabili, alcune nuove compagnie hanno fatto un sacco di soldi proprio realizzando soluzioni "verdi". Il nucleare, invece, è una tecnologia matura e non creerà nessun posto di lavoro. Le energie alternative potrebbero produrne migliaia".

Il giornalista afferma allora: "A questo punto solo un pazzo potrebbe scegliere un'altra strada. Eppure non è solo Roma ad aver riconsiderato il nucleare. Perché?"
Risponde Rifkin: "Credo che abbia molto a che fare con un gap generazionale. E ve lo dice uno che ha 63 anni. I vecchi politici, cresciuti con la sindrome del controllo, si sentono più a loro agio in un mondo in cui anche l'energia è somministrata da un'entità superiore".
Termina così l'intervista del giornalista italiano.

Spetta ora agli italiani la scelta!
Io dico "NO AL NUCLEARE"; preferisco avere l'abitazione senza elettricità che lasciare in eredità ai miei figli un paese contaminato da radiazioni e rifiuti tossici.
E poi, dico, che senso ha fare un referendum (anzi tre), se poi il primo coglione che siede al Governo se ne sbatte altamente? Ma chi cazzo è per sostituirsi ai veri sovrani della nazione, cioè il popolo? Manifestiamo per un mondo migliore, facciamolo almeno per i nostri bambini.